Pag.1 - Dimorarivotorto

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San Giovanni XXIII
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Da Celebrare e vivere la Parola di Gianfranco Ravasi II nucleo centrale della scena è Gesù "seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava" (v. 46). E questo dato emblematico è commentato dalla frase essenziale che Gesù rilancia all'ansia di Maria e Giuseppe: "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?".
Gesù ha dodici anni e a quest'età l'ebreo entrava nella pienezza della responsabilità nei confronti della Legge e della religione. Gesù, giunto alla sua maturità ufficiale, svela la sua autentica realtà di Maestro e di Figlio, prendendo le distanze dalla cornice limitata e quotidiana entro cui è pure inserito.
È, quindi, la prima grande autorivelazione che Gesù fa del suo destino e il vero fedele, simile a Maria, per cogliere questo mistero celato sotto le spoglie di un giovane ebreo deve "serbare queste cose nel cuore" meditandole. Maria capisce ora che anche per lei deve iniziare quel faticoso itinerario di fede che le farà scoprire il mi-stero nascosto nel suo ragazzo e che le farà perdere sempre più il figlio come suo possesso per averlo come dono salvifico di Dio ai piedi della croce.
La vicenda di Maria è, allora, quella di ogni genitore che deve accettare nel figlio un progetto non suo ma libero e nuovo d'una persona diversa. Perciò non potrà mai considerare il figlio un possesso personale a cui imporre un destino già stabilito.
Ma soprattutto la vicenda di Maria è quella di ogni credente che "trova Gesù nella casa del Padre dopo tre giorni" (2, 46). Ritrovare Gesù nella "casa del Padre" dopo tre giorni è lo sbocco ultimo della fede, è un annunzio pasquale, è un invito a cercare sempre Gesù dove realmente è.
Gesù introduce una distinzione netta tra la sua famiglia terrena e quella misteriosa che è alla sua origine. Pronunziando questa parola "Padre", Gesù rivela il suo misteso divino. La sua vocazione non è quella di essere al servizio di una pur santa famiglia di creature umane ma quella di essere a disposizione del Padre celeste.
Eppure questo ragazzo che fa una simile, sconvolgente dichiarazione è lo stesso che segue obbediente i genitori che salgono ogni anno per la Pasqua a Gerusalemme, è lo stesso che riceve il rimprovero: "Figlio, perché ci hai fatto così?"; è lo stesso che segue obbediente i genitori sulla strada di Nàzareth; è lo stesso che "sta loro sottomesso", anche se è maggiorenne e dotato della stessa sapienza di Dio e dell'intelligenza di Salomone, anche se la sua sapienza cresce progressivamente con la maturità, con l'età, la statura e la grazia.
L'obbedienza di Gesù nell'intemo di questa modesta famiglia diventa, perciò, esemplare. L'atteggiamento di Gesù è il segno della sua donazione all'uomo, del suo mettersi al servizio e non del voler essere servito.
D'altro canto Maria inizia a comprendere in modo sperimentale e vissuto che il suo distacco dal Figlio non è segno di lontananza ma di vicinanza perché con la fede essa entra sempre più nel progetto di salvezza che il Cristo sta attuando. C'è, comunque, nell'interno di questo quadro un elemento che può essere accettato da ogni famiglia. Se il figlio deve saper accogliere con rispetto e devozione l'amore dei genitori, i genitori devono sapere che il loro figlio ha un destino che essi non possono predeterminare. Essi possono sognare il figlio a loro immagine e somiglianza o come l'artefice di progetti grandiosi ma alla fine devono saperlo accogliere cosi come egli è, coi suoi piccoli o grandi doni, col suo modesto o glorioso destino. Saper accettare e saper donare sempre, questo è il segno dell'amore.
È questo lo stile della famiglia eccezionale di Nàzareth, è questo lo stile del "codice domestico" steso da Paolo: "Come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa. Figli, obbedite ai genitori nel Signore... e voi, padri, non inasprite i vostri figli" (Ef 5,24-25; 6,1-4).

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